10/05/2006

Speciale Origini

Speciale origini

Per cercare di comprendere l'essenza del malessere insito nella situazione
finanziaria mondiale impernialata sul $, occorre risalire alle origini delle
manipolazioni che man mano hanno creato un disordine foriero di eventi
traumatici. Forse per il timore di aprire questo vaso di Pandora si preferisce
non dibattere troppo il problema e sperare in un magico intervento risolutore da
parte delle autorità americane che non penalizzi troppo il resto del mondo,
dimenticando che sullo sfondo del sistema mondiale da troppi anni aleggia li
proliema della capacità dei mercati finanziari di moltiplicare, potenzialmente
senza limiti, credito e moneta.

Occorre risalire al periodo 1913-1914, antecedente quindi la Grande Guerra, per
scoprire che la catena di Sant’Antonio (i nuovi entrati in Borsa fanno
arricchire quelli che ci sono già) che ha creato il boom finito nel 2000 è
simile a quella che nacque ottantanni prima e che si sviluppò grazie
all’espansione senza fine del credito mondiale che fiori all’ombra del ‘gold
exchange standard’. Solo grazie all’evento bellico questa bolla speculativa non
scoppiò, mentre la successiva ricostruzione permise di tirare avanti fino al
1929, assicurando ben 15 anni di crescita finanziaria non corretta, in quanto il
predetto sistema aiutò l’espansione creditizia con il fatto che un Paese
prendeva a prestito capitali vendendo propri titoli di Stato sudi un detenninato
mercato estero, come Londra o New York, cnsiderando poli dollari o le sterline
ottenute come facenti parte delle proprie riserve di banca centrale ( effetto
leva).
Poiché furono gli Stati Uniti a sostenere il peso finanziario principale del
periodo bellico e postbellico, furono loro ad incrementare la circolazione del
$, grazie all’abbondanza monetaria-creditizia di quel Paese saturo d’oro (gli
europei ne avevano depositato ingenti quantitativi quale garanzia per i loro
debiti), con la speranza di utili sempre crescenti e l’illusione di poter
eliminare gli effetti della disoccupazione creata dalle razionalizzazioni che
accrebbero enormemente la capacità produttiva. In buona sostanza l’effetto leva
del gold exchange standard permise sia la grandiosa inflazione creditizia
interna americana che quella internazionale, grazie al fallo che sullo stesso
oro si erano fondate le espansioni monetarie degli USA e le ricostruzioni
monetarie dell’Europa. Tutto ciò fu la causa sostanziale del botto del 1929, che
ne azzerò gli eccessi.
Secondo i migliori economisti dell’epoca, tra i quali lingiese Lionel ROBBINS,
la crisi di quegli anni fu la conseguenza del denaro a basso prezzo che provocò
eccessi di capacità produttiva, di prestiti e di speculazioni finanziarie e
divampò quando l’espansione del credito facile ad un certo punto finì.
Mentre le conseguenze dell’effetto leva del periodo 1913-1914 furono evitate
grazie alla 1A Guerra Mondiale, la Grande Depressione pose a sua volta le
premesse per la successiva situazione bellica che funzionò come rimedio
temporaneo alla crisi finanziaria degli Anni Trenta. Gli Stati Uniti arrivarono
infatti alla vigilia della guerra deI 1941 con una situazione economica,
finanziaria ed industriale che era ancora ai livelli antecedenti il 1929, mentre
solo i preparativi militari e gli aiuti materiali alla Gran Bretagna avevano
permesso di recuperare almeno il livello pre-crisi. Pertanto il finanziamento
dello spaventoso sforzo bellico non potè essere sostenuto se non ricorrendo
massicciamente all’abuso del credito, che si tradusse in una grande immissione
di dollari sul mercato, dollari che materialmente non esistevano non essendo il
frutto del risparmio, o il risultato della vendita di oro, odi qualsiasi altra
attività produttiva.

Mentre la 2a Guerra Mondiale era ancora in corso, ecco che gli stati Uniti
portarono gli alleati a siglare gli accordi di BRETTON WOODS, che sancirono le
regole che avrebbero governato il sistema monetario internazionale una volta
cessate le ostilità. Infatti da quel momento il $ divenne la moneta dominante (
sostituendo la sterlina) a livello mondiale e l’America risolse così a livello
strategico il suo problema finanziario.
Il documento finale che era stato fortemento voluto dalle grandi banche private
statunitensi operanti sul piano internazionale e che si erano arricchite nei due
decenni prebellici grazie all’indebitamento di molti Paesi, all’instabilità dei
cambi ed alle svalutazioni competitive, di fatto stravolse le idee originarie
del Keynes e sancì il trionfo dell’egemonia (in questo caso americana)
sull’internazionalismo. Soprattufto il $ fu affiancato all'oro, sancendo il
principio dell’identità tra questi due strumenti come mezzi di pagamento e di
riserva, mentre i banchieri privati assunsero man mano il ruolo di creditori
incontrastati del mondo in quanto il Fondo Monetario Internazionale e la Banca
Mondiale non furono mai dotate di risorse adeguate ai loro effettivi compiti. In
pratica queste due istituzioni furono trasformate in una branca del sistema
bancario statunitense.
Una delle principali conseguenze delle regole del gioco imposte dall’America a
Bretton Woods fu quella di fornire a questo Paese una posizione di favore
rispetto alle altre nazioni, grazie alla possibilità di finanziare gli squilibri
della propria bilancia (già evidenti alla fine degli anni Cinquanta e
facilmente prevedibili dieci anni prima) mediante l’emissione di dollari che
contribuivano così ad esportare inflazione nel sistema finanziario
internazionale.
Inoltre, il fatto che di norma i paesi terzi non utilizzassero la loro
possibilità di convertire in oro i dollari (gold exchange standard) che ad essi
affluivano, è equivalso alla concessione agli Stati Uniti di un prestito a tasso
zero da parte delle banche centrali degli altri Paesi. L’obbligo di mantenere la
parità delle proprie monete nei confronti del $ implicava che ciascuna banca
centrale doveva sostenere il proprio tasso di cambio vendendo o comprando
dollari in presenza di variazioni della propria moneta, anche con l’aiuto di
tutte le banche centrali degli altri Paesi. In questo modo la solidarietà
internazionale finiva per fUnzionare automaticamente a difesa del $, mentre al
contrario la responsabilità della difesa delle monete degli altri Paesi ricadeva
quasi interamente sulle spalle di ciascuno di essi, per cui se il $ si
indeboliva, al fine di impedirne la caduta, gli altri dovevano comprare dollari,
pagando in questo modo l’inflazione americana.
Era pertanto evidente, fin dal momento che furono introdotte queste regole, che
il mondo avrebbe sostenuto gli USA, permettendo loro di divenire una potenza
egemone: da allora si è sempre sottaciuto sul fatto che una continua inflazione
del $, sostenuta da tutti, prima o poi avrebbe comportato ‘una resa dei conti .
Questa situazione non era ancora ben chiara nel corso degli Anni Cinquanta,
quando non si dubitava del buon funzionamento del sistema a cambi fissi in
quanto il biglietto verde godeva di un solido prestigio grazie ad una bilancia
commerciale che mostrava attivi spesso consistenti, mentre il passivo del conto
movimenti di capitali era del tutto accettato essendo l' unico modo per venire
in possesso di dollari da utilizzare come mezzo di pagamento e strumento di
riserva. Con il passare degli anni la bilancia dei pagamenti (che rappresenta il
quadro generale dei rapporti di debito e credito che legano un Paese con lestero
) americana andò invece sistematicamente in passivo.
Quando la spinta della ricostruzione post-bellica cominciò a rallentare, a
tenere in piedi il sistema finanziario già ‘taroccato ci pensò la guerra del
Vietnam, che esportò l’inflazione in tutto il mondo, mentre la crisi del $ del
1971 (abolizione della sua convertibilità in oro ) fu poi superata con i vari
shock petroliferi degli Anni Settanta. L’aumento del prezzo del petrolio provocò
infatti in tutti i Paesi una maggiore richiesta di dollari - i cosiddetti
petrodollari - che, provenienti da tutto il mondo, finirono soprattutto nel
sistema finanziario americano. Il distacco unilaterale del $ dall’oro fu inoltre
]‘ammissione del fallimento del sistema economico mondiale e/o americano in
essere e da allora quello finanziario internazionale si trasformò nel dollar
standard, nel quale questa moneta divenne strumento di riserva in sè e per sè e
non in quanto convertjbile in oro, stante il fatto che dietro al $ c’era solo
la possibilità di comprare prodotti o titoli USA. Tra l’altro, questo sistema
non aveva strumenti di governo della liquidit americana da parte degi altri
Paesi, anche se gli stessi di quella liquidità erano in vario modo partecipi.
Nel frattempo, i problemi causati dai vari shock petroliferi diedero il via al
primo G 6 di Rambouillet nel 1975 che ufficializzò la moderna globalizzazione
sponsorizzata da KISSINGER con un memorabile discorso ( Le nostre economie ed il
nostro benessere sono oggi ostaggio delle decisioni assunte da altri Paesi -
vedi OPEC - La crisi energetica ha ipotecato la nostra politica, indebolito le
nostre democrazie, minato l’unità politica che è a base della sicurezza delle
nazioni libere...’). Di fatto, la conclusione dell'incontro sancì
l’interdipendenza dei sistemi economici dei diversi Paesi e la necessità del
coordinamento internazionale nel governo dell’economia, cioè la nascita della
finanziarizzazione del sistema, che provocò una sfrenata liberalizzazione dei
capitali tanto che in pochi anni (1980-2000) si ebbe un aumento non giustificato
dal livello di crescita dell’economia degli stock finanziari, che passarono da
10 a 100 trilioni di $. COn la quasi contemporanea fine delle parità fisse tra
le varie valute, venne poi meno uno strumento di disciplina che permise così a
molti Paesi una rapida espansione monetaria, facilitata anche dall'innovazione
tecnico-finanziaria rappresentata
dall' incremento incontrollato dei derivati.
Volendo inoltre gli Stati Uniti assicurarsi la Ieadership mondiale, era
determinante che questi potessero man mano controllare i flussi finanziari
globali per merito di una Borsa che sarebbe diventata il centro di raccolta
degli stessi. Grazie ai nuovi parametri della spesa pubblica che il Fmi aveva
‘suggerito al mondo ( ma non all’America), avvenne lo spostamento degli stock
finanziari dai titoli di Stato alle azioni. Il vero boom iniziò lentamente nel
1982 grazie ad un aumento incontrollato dei tassi d’interesse e del $ ed ebbe
una prima importante spinta dagli accordi del Plaza del 1985 (si indebolì il $
per aiutare l’economia USA) e dal successo dei fondi pensione che con la fine
degli anni ‘80 s’imposero definitivamente sul mercato americano. Successivamente
vi fu un’immissione di liquidità da parte della Fed e di altre banche centrali
al fine di fronteggiare la crisi messicana deI 1994, seguita dall’imposizione al
Giappone nel 95 dell’abbattimento dei tassi per far galoppare il $ e WaIl Street
grazie ai capitali a costo quasi nullo che le banche americane in primis presero
a prestito nel sol Levante per investire con lauti guadagni nella Borsa
principale.
Con la crisi del Sud Est asiatico dcl ‘97 si venne a creare un forte panico in
quell’area, per cui molti capitali volarono negli USA. L’euforia che ha attirato
in Borsa milioni e milioni di risparmiatori direttamente o tramite i fondi ) che
in altre condizioni mai e poi mai avrebbero investito in azioni i propri
risparmi, fu ufteriomente alimentata da successive immissioni di liquidità a
bassi tassi che la Fed operò con il nobile fine di evitare le crisi del ‘98
prima ( Russia e Ltcm, l’hedge fund di storica memoria) ed i pericoli incombenti
del “baco del 2000’ poi. Nel corso del 99 fummo infatti rimbambiti dai continui
allarmi circa la data fatidica deI 31/12/1999, che si rivelò un bluff, ma spinse
le autorità monetarie americane ad immettere nel secondo semestre di quell’anno
ben due trilioni di $ per evitare un eventuale tilt del sistema bancario (
dollari che a marzo del 2000 vennero poi ritirati dal mercato favorendo la
caduta del Nasdaq) In quel periodo la gente credette veramente al paese di
Bengodi in quanto il boom di Borsa, trasferendo ricchezza a pensionati che
videro raddoppiate le loro pensioni, a operai o impiegati che incrementarono il
loro reddito globale e persino ai licenziati che videro lievitare a livelli
insperati le opzioni ricevute in liquidazione ( stock options), finì prer creare
un’incredibile massa di reddito a disposizione dei ceti meno abbienti Non appena
poi la Borsa rallentò la sua corsa al rialzo, facendo venir meno l’effetto
redisuibutivo, anche l’economia cadde in un preoccupante letargo.
Sostanzialmente il boom è stato generato dall’aria fritta artatamente creata che
ha scombussolato il sistema, tanto che diversi autorevoli economisti - tra i
quali Charles DUMAS della Lombard Street Research - nel ‘98 sostennero che i
tagli dei tassi applicati dalla Fed unitamente all’immissione di liquidità erano
entrambi in misura eccessiva e che avrebbero creato una bolla speculativa (come
del resto accadde). Nel 99 il Nobel STIGLITZ criticò ulteriormente il
comportamento della Banca Centrale americana che in quell’anno aumentò
improvvisamente i tassi per prevenire un fantomatico rischio inflattivo:
l’economista asserì che tutto ciò avrebbe fatto scoppiare la bolla speculatìva (
come in effetti si verificò), causando di conseguenza un rallentamento troppo
svero per l’economia, in quanto l’aumento dei tassi avrebbe sì sgonfiato le
quotazioni, ma allo stesso tempo avrebbe ucciso l’espansione economica.
E così arriviamo ai giorni nostri, come vedremo nelprossimo Speciale, ma era
importante non perdere il filo, un filo che viene da lontano.